Le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione Civile, con l’attesissima sentenza in oggetto, hanno statuito il seguente principio di diritto:

«I contratti di fideiussione a valle di intese dichiaraste parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, comma 2, lett. a) della legge n. 287 del 1990 e 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, comma 3 della legge succitata e dell’art., 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducano quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti.».

Di seguito il testo integrale della Sentenza.

Cassazione Sezione Unite 41994

 

Nell’ambito delle controversie con gli istituti bancari, l’ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. è ammissibile unicamente qualora il cliente abbia esercitato il diritto di cui all’art. 119, comma 4, e la banca non vi abbia ottemperato. 

La Corte di Cassazione, sezione I civile, con la sentenza 8 giugno – 13 settembre 2021, n. 24641, ha ribadito il diritto del cliente di ottenere dall’istituto bancario, indipendentemente dall’utilizzazione che ne intende fare, la consegna di copia della documentazione relativa alle operazioni dell’ultimo decennio attribuendo a detto diritto natura sostanziale.

Il diritto spettante al cliente, a colui che gli succede a qualunque titolo o che subentra nell’amministrazione dei suoi beni, ad ottenere, a proprie spese, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni, ivi compresi gli estratti conto, sancito dall’articolo 119, quarto comma, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, può essere esercitato in sede giudiziale attraverso l’istanza di cui all’articolo 210 c.p.c., a condizione che detta documentazione sia stata precedentemente richiesta alla banca, che senza giustificazione non vi abbia ottemperato.

La stessa documentazione non può essere acquisita in sede di consulenza tecnica d’ufficio contabile, ove essa abbia ad oggetto fatti e situazioni che, essendo posti direttamente a fondamento della domanda o delle eccezioni delle parti, debbano necessariamente essere provati dalle stesse.

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Le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione Civile, con la sentenza 8 luglio 2021, n. 19427 si sono  pronunciate in favore della possibilità per l’avvocato di recuperare i propri compensi dal cliente attraverso lo strumento del decreto ingiuntivo su parcella vistata dal Consiglio dell’Ordine.

Le Sezioni Unite, scardinando il contestato orientamento del Tribunale di Roma di respingere i ricorsi per decreto ingiuntivo degli avvocati in conseguenza dell’abrogazione dell’art. 636 c.p.c., intervenuta a seguito dell’eliminazione del sistema tariffario del 2012, ha formulato i seguenti principi di diritto:

  • “In tema di liquidazione del compenso all’avvocato, l’abrogazione del sistema delle tariffe professionali per gli avvocati, disposta dal D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito dalla L. 27 marzo 2012, n. 27, non ha determinato, in base all’art. 9 D.L. n. cit., l’abrogazione dell’art. 636 c.p.c.
  • Anche a seguito dell’entrata in vigore del D.L. n. 1 del 2012, convertito dalla L. n. 27 del 2012, l’avvocato che intende agire per la richiesta dei compensi per prestazioni professionali può avvalersi del procedimento per ingiunzione regolato dagli artt. 633 e 636 c.p.c., ponendo a base del ricorso la parcella delle spese e prestazioni, munita della sottoscrizione del ricorrente e corredata dal parere della competente associazione professionale, il quale sarà rilasciato sulla base dei parametri per compensi professionali di cui alla L. 31 dicembre 2012, n. 247, e di cui ai relativi decreti ministeriali attuativi”.

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Con la Sentenza n. 128 del 2021 la Corte Costituzionale ha dichiarato la illegittimità della seconda proroga della sospensione (01 gennaio – 30 giugno 2021) delle esecuzioni introdotta dall’art. 13, comma 14, del d.l. 31 dicembre 2020, n. 183, aventi ad oggetto l’abitazione principale del debitore – in riferimento agli artt. 3 comma 1 e 24 commi 1 e 2 Cost..

Secondo la Corte, il bilanciamento degli interessi sarebbe divenuto, del tempo, irragionevole e sproporzionato, avendo il legislatore prorogato una misura generalizzata e di extrema ratio, mentre avrebbe dovuto specificare i presupposti soggettivi e oggettivi della misura, anche eventualmente demandando al vaglio dello stesso giudice dell’esecuzione il contemperamento in concreto degli interessi in gioco.

Con la Sentenza n. 8201 pubblicata il 27 aprile 2020, la Suprema Corte è stata nuovamente chiamata a pronunciarsi sull’opponibilità ai terzi del fondo patrimoniale.

L’istituto, molto caro alle famiglie italiane, è regolamentato dall’art. 167 c.c. il quale testualmente recita:

Ciascuno o ambedue i coniugi, per atto pubblico, o un terzo, anche per testamento, possono costituire un fondo patrimoniale, destinando determinati beni, immobili o mobili iscritti in pubblici registri, o titoli di credito, a far fronte ai bisogni della famiglia

Sulla base del dettato normativo, i coniugi, e ora anche i componenti dell’unione civile omosessuale, possono creare un patrimonio separato che abbia come specifica destinazione la finalità di far fronte ai bisogni della famiglia.

Al fine di individuare l’ambito applicativo della speciale dei beni così costituiti in fondo, l’art. 170 C.C., disciplinando l’esecuzione forzata sui beni e sui frutti del fondo patrimoniale, individua tre diverse categorie di debiti:

– i debiti contratti per i bisogni della famiglia;

– i debiti contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia e sconosciuti come tali dal creditore;

– i debiti contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia e conosciuti come tali dal creditore;

e stabilisce una speciale esenzione dell’esercizio dell’esecuzione forzata nei confronti dei primi e dei secondi.

A questo punto, per stabilire effettivamente su quali posizioni il creditore può soddisfare o meno le sue pretese, non rimane che chiarire la nozione di “bisogni della famiglia”. Essi rappresentano, secondo costante giurisprudenza, tutte le esigenze volte al pieno mantenimento ed all’armonico sviluppo della famiglia, nonché al potenziamento della capacità lavorativa familiare. Sono da intendersi non in senso meramente oggettivo ma come comprensivi dei bisogni ritenuti tali dai coniugi in ragione dell’indirizzo della vita familiare e del tenore prescelto, anche considerando le proprie possibilità economiche. Vi rientrano, altresì, i debiti per oneri condominiali e per spese processuali sopportate dal condominio per riscuotere gli oneri condominiali relativi ad un immobile facente parte del fondo patrimoniale.

Al contrario sono escluse dal novero dei “bisogni familiari” le sole esigenze di natura voluttuaria o caratterizzate da interessi meramente speculativi.

La Suprema Corte, prendendo posizione sul concetto di “bisogni della famiglia” e sulla limitazione dell’esecuzione dei crediti sui beni costituiti in fondo patrimoniale ha enunciato il principio di diritto in base al quale al fine di valutare la riferibilità del debito ai bisogni della famiglia, con conseguente pignorabilità dei beni costituiti in fondo, sarà necessario considerare la effettiva destinazione del finanziamenti escludendo quelli che soltanto indirettamente sono riferibili ai bisogni della famiglia.

Testo integrale della Sentenza

 

 

(MASSIMA)

Ai fini del perfezionamento del contratto reale di mutuo non occorre la materiale traditio del denaro al mutuatario, essendo sufficiente il conseguimento della disponibilità giuridica, che sussiste tutte le volte in cui il mutuante crea un autonomo titolo di disponibilità a favore del mutuatario in modo da determinare l’uscita della somma dal proprio patrimonio e l’acquisizione al patrimonio di quest’ultimo ovvero quando, nello stesso contratto di mutuo, le parti abbiano inserito specifiche pattuizioni consistenti nell’incarico che il mutuatario dà al mutuante di impiegare la somma per un interesse del primo. In tal caso con il perfezionamento del mutuo deve ritenersi già sorta l’obbligazione restitutoria del mutuatario.

 

(MASSIMA)

Il contratto di apertura di credito non deve essere stipulato per iscritto a pena di nullità, ove si tratti di patto accessorio a un contratto di conto corrente vigente tra le parti.

(MASSIMA)

L’insinuazione al passivo fallimentare di un credito fondiario che produce interessi, non comporta alcuna deroga all’art 2855 del codice civile sicchè, non essendo suscettibili di interpretazione analogica né l’art. 54 della legge fallimentare né l’art 2855 del codice civile, la collocazione in privilegio è limitata al solo capitale, agli interessi ed alle spese, con esclusione di qualsiasi altra provvigione o penale anche se contrattualmente prevista.  Ne consegue che sono collocati al privilegio oltre agli interessi legali dalla data di fallimento fino data di vendita del cespite, soltanto gli interessi corrispettivi (e non quelli moratori) maturati al tasso convenzionale nelle due annate anteriori ed a quella in corso nel giorno della dichiarazione di fallimento, ove per annata si intende non quella solare ma quella contrattuale.

La natura di comunione senza quote della comunione legale dei coniugi comporta che l’espropriazione, per debiti personali do uno solo dei coniugi, di un bene (o più beni) in comunione abbia ad oggetto il bene nella sua interezza e non per la metà, con lo scioglimento della comunione legale limitatamente al bene staggito all’atto della vendita o assegnazione e diritto del coniuge non debitore alla metà della somma lorda ricavata dalla vendita del bene stesso o del valore di questo, in assegnazione.

(MASSIMA)

La cassazione con rinvio della sentenza di appello confermativa di quella di primo grado costituente titolo esecutivo, ove l’esecuzione abbia avuto inizio sulla base di quest’ultima e sia poi proseguita con atti successivi alla pronuncia della sentenza di appello cassata, determina la caducazione soltanto di tali atti successivi (dipendenti dalla combinazione della sentenza di primo grado e di quella di appello cassata); restano fermi gli atti esecutivi pregressi e l’esecuzione può riprendere dall’ultimo di essi, salvo che il giudice del rinvio sospenda l’esecutività della sentenza di primo grado, delibando le ragioni della dispossa cassazione